
A tutti noi è capitato di visitare un museo e di rimanere incantati ad ammirare la terribile bellezza di spade e armature, la nostra mente corre subito ad immagini di battaglie, duelli, lotte per la successione di signori e famiglie, nello stesso modo si guardano pistole e divise risalenti alla prima guerra mondiale, e la mente ricorda quelle immagini in bianco e nero che ormai si vedono solo nei documentari, sembrano tempi lontanissimi, distanti da noi e dalla nostra routine quotidiana, ma se ci soffermassimo un istante ci accorgeremmo che quei tempi così lontani in realtà era il presente dei nostri nonni, sono cose toccate con mano dalle nostre stesse famiglie, e allora cominciano i racconti di vite passate, cosi quei momenti di terribile bellezza escono dalle teche dei musei, e nello stesso modo richiedono rispetto e ammirazione, in alcuni casi i racconti prendono vita ed è possibile toccare con mano quelle esperienze, come è capitato a me.
Mio padre mi parlava di tecniche di Ju Jitsu usate dall’Esercito Italiano, ma una domanda si formava nella mia testa, dove e quando il Ju Jitsu Giapponese è entrato tra le file dei nostri combattenti, un po’ per caso e un po’ per ricerca sono riuscito a dare una risposta a questo enigma. 1906 nel mare tra il Giappone e la Cina le nostre navi e i nostri militari al fianco dei giapponesi sedavano la Rivolta dei Boxer. | ![]() ![]() |
All’inizio del ‘900 il Re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia, mandò insieme alle otto nazioni alleate, una spedizione militare per sedare la Rivolta dei Boxer, in questo panorama si consolidarono i rapporti tra militari italiani e nipponici, dove la particolare formazione militare alla difesa personale, convinsero il Ministero Della Marina l’Ammiraglio Carlo Mirabello, ad organizzare il primo corso sull’incrociatore corazzato “Marco Polo” sotto il comando del Capitano di Vascello Carlo Maria Novellis Barone di Coarazze, che stazionava nel mare della Cina, e lo incaricò di assumere a bordo un Maestro di Ju Jitsu. In seguito Carlo Maria Novellis cedette il comando al Capitano di Vascello Eugenio Bollati Barone di Saint Pierre, questi fece imbarcare sulla sua nave due marinai ormai abili nella lotta giapponese, ed uno di loro, il Timoniere Luigi Moscardelli, conseguì nel 1907 il diploma di abilitazione all’insegnamento del Ju Jitsu, nello stesso anno alle gare semestrali imposte dal Ministero della Marina, per mantenere in allenamento l’equipaggio, la gara di Ju Jitsu venne vinta da Sottocapo Cannoniere Raffaele Piazzolla pari grado di Carlo Oletti.
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Da quel momento in poi le lezioni di Ju Jitsu ai marinai furono impartite da un loro commilitone, che sviluppò un metodo italiano, il metodo seguito dai marinai italiani venne dichiarato dai diretti avversari giapponesi “non regolamentare”. Così proprio grazie alla Marina Militare si sviluppò una versione nostrana del Ju Jitsu e, a Roma, a Villa Corsini, il 30 Maggio 1908 avvenne la prima dimostrazione, dopo pochi giorni il Re Vittorio Emanuele III volle che la dimostrazione fosse ripetuta al Quirinale, alla presenza dello stesso Re, il Ministro della Marina l’Ammiraglio Leone Viale ed il Comandante Como Barone di Santo Stefano, appassionato cultore dello sport ed al quale si deve se tale genere di lotta venne introdotta in Italia, con questo metodo. La dimostrazione venne ripetuta ancora nella Scuola Magistrale Militare di Scherma e di Educazione Fisica dove entrò appresa dal Maestro Direttore di Ginnastica Giovanni Racchi che nell’insegnamento della cosiddetta Ginnastica Bellica così era denominata allora la preparazione fisica del militare, che comprendeva anche la difesa personale, perfezionò il metodo e la divulgazione della scuola di formazione dell’esercito, con il compito di preparare i sottufficiali del Regio Esercito, della Regia Marina e della Regia Guardia di Finanza.
Nel 1915 all’inizio della Prima Guerra Mondiale, Giovanni Racchi si arruolò come ufficiale e nel 1917 venne chiamato a Sdricca di Manzano (UD) alla formazione degli Arditi del Primo Reparto d’Assalto, per dare un’istruzione che sarà poi di base a tutti gli altri reparti. In uno scritto di Mario Carli del 1919, dove si descrive l’allenamento degli Arditi si legge “…aveva popolarizzato certe forme di giu-gitsu che meglio si adattavano al tipo di guerra degli Arditi”. | ![]() |
Giovanni Racchi, finita la guerra, torna a Roma, e pubblica il “Manuale di ginnastica bellica”, con azioni di arresto, immobilizzazione, conduzione e atterramento di una persona sospetta o aggressiva. Con il Regio Decreto del 20 Aprile 1920, apre la Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica, presso i locali del tiro a segno nazionale della Farnesina, dove saranno chiamati a dirigere i corsi di Ju Jitsu, il Colonnello Giulio Cravero ed il Primo Capo Cannoniere, poi Sottotenente, Carlo Oletti
Carlo Oletti imparò il Ju Jitsu durante le missioni in oriente del 1906 dal Maestro Matsumura, ufficiale della marina nipponica, migliorando tale conoscenza alla scuola di polizia di Nagazaki.
Oletti nel 1922 insegna anche alla società “Giovane Italia”, e nel 1923 alla società “Cristoforo Colombo” pubblicando negli stessi anni il manuale “La difesa personale” trattato illustrato di Jiu-Jitsu e Kuatsu. Dopo alcuni anni di lavoro e l’aiuto del Prof. Merendoni Antonio (autore del libro “Il Ju Jitsu all’Italiana nelle forze armate e di polizia”), il Maestro Tiziano Guerrini, mantiene vive quelle stesse tecniche, per portare avanti quell’eredità dei nostri nonni e quel fascino che proviamo davanti alla nostra storia, ma che non potrà mai essere rinchiusa in una teca di un museo. | ![]() ![]() |